LA SINDROME DA IMMUNO-DEFICIENZA ACQUISITA
(AIDS) - 1
(da: Pagine Mediche.it)

La sigla sta per
Sindrome da Immuno-Deficienza Acquisita (Acquired Immuno-Deficiency Syndrome).
La malattia è caratterizzata dal progressivo indebolimento di tutte le difese
immunitarie dell'organismo, quelle cioè che si mobilitano quando il corpo viene
aggredito da microrganismi esterni, come batteri e virus.
Origini dell'HIV
Nel 1981 i CDC di Atlanta
(Centers for Diseases Control) segnalarono il riscontro di alcuni casi di una
rara forma di polmonite, la PCP (Polmonite da Pneumocystis carinii), in
omosessuali maschi di Los Angeles.
Caratteristiche del virus dell'HIV
L'HIV è un virus con
genoma ad RNA appartenente alla famiglia dei Retrovirus, genere Lentivirus.
Attualmente se ne conoscono due tipi: HIV-1, diffuso in tutto il mondo (quello
che abitualmente conosciamo) e HIV-2, presente solo in alcuni Paesi africani e
meno virulento del tipo 1.
Patogenesi dell'AIDS
La probabilità che dopo
l'ingresso del virus nell'organismo l'infezione si instauri effettivamente
dipende principalmente da due fattori: la carica infettante, cioè il numero di
particelle virali penetrate (più la carica virale è alta maggiore è il rischio
di infezione), ed il numero di cellule recettive (cioè suscettibili di essere
infettate) presenti nella sede di ingresso del virus.
Diagnosi dell'AIDS
Per l'identificazione
dell'infezione da HIV sono disponibili varie metodiche, basate sulla
identificazione degli anticorpi prodotti dal sistema immunitario contro l'HIV
(metodiche sierologiche) oppure sulla ricerca di antigeni e molecole del virus
stesso (metodiche virologiche).
Epidemiologia dell'AIDS
Al 31 dicembre 1999 in
Italia sono stati notificati 45.605 casi di AIDS. Di questi, il 78% erano di
sesso maschile, e l'età mediana della diagnosi (calcolata solo per gli adulti)
era di 33 anni per i maschi e di 31 anni per le femmine.
Trasmissione dell'AIDS
L'HIV può essere
trasmesso tramite trasfusione di sangue infetto o di emocomponenti preparati con
sangue di una persona infetta. Infezioni secondarie ad emotrasfusioni erano
descritte soprattutto prima del 1985, anno in cui si è reso disponibile il test
per lo screening dei donatori.
Quadri clinici dell'infezione da HIV
Il decorso dell'infezione
da HIV è caratterizzato da diverse fasi cliniche, la cui evoluzione è molto
variabile potendo essere influenzata da svariati fattori, primo fra tutti
l'impiego di una adeguata terapia antiretrovirale.
Terapia dell'AIDS
Negli ultimi due
anni sono stati fatti notevoli ed entusiasmanti passi avanti nella terapia
dell'infezione da HIV.
ORIGINI DELL'HIV
Introduzione
Nel 1981 i CDC di
Atlanta (Centers for Diseases Control) segnalarono il riscontro di alcuni casi
di una rara forma di polmonite, la Polmonite da Pneumocystis carinii, in
omosessuali maschi di Los Angeles. Successive osservazioni portarono a stabilire
che queste polmoniti interessavano soggetti con immunodepressione, e che si
manifestavano prevalentemente in chi aveva avuto trasfusioni di sangue o
comportamenti sessuali a rischio. In tal modo venne ipotizzata la presenza di un
agente infettivo trasmissibile.
Nel luglio 1982, dato l'incremento del numero di questi casi, le autorità
sanitarie americane coniarono il termine di AIDS (Acquired ImmunoDeficiency Syndrome) per questa nuova
patologia. Nel maggio 1983 il gruppo di Luc Montagnier dell'Istituto
Pasteur di Parigi segnalò l'identificazione di un Retrovirus che poteva essere
il responsabile dell'AIDS; questa scoperta fu confermata nello stesso anno da
Robert Gallo del National Cancer Institute di Bethesda, il quale a sua volta fu
in grado di isolare lo stesso virus dal sangue di alcuni malati di AIDS. Questo
virus venne inizialmente denominato HTLV-III (Human T-Lymphocytotropic virus
tipo 3), data la sua somiglianza con l'HTLV-I, un Retrovirus responsabile di
alcune forme di leucemia. In seguito si scoprì che questo virus aveva delle
caratteristiche biologiche diverse da quelle dei Retrovirus noti fino a quel
momento, per cui venne chiamato con il nuovo termine di
HIV (Human Immunodeficiency Virus).
Nel marzo 1985 la FDA (Food and Drug Administration) approvò il primo
test per la determinazione degli anticorpi contro il virus HIV, che venne
immediatamente introdotto tra gli esami eseguiti per la sorveglianza di routine
dei donatori di sangue. Due anni dopo, nel marzo 1987, venne registrato
negli Stati Uniti il primo farmaco attivo contro l'HIV, la Zidovudina (AZT).
Nel 1991, dopo un decennio dall'inizio dell'epidemia, l'OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità) rese noto che circa 10 milioni di persone
in tutto il mondo avevano contratto l'infezione, e che circa la metà di queste
erano già decedute per AIDS. Nel 1992 furono effettuati i primi studi
finalizzati a dimostrare l'efficacia di una terapia con due farmaci, mentre nel
dicembre 1995 la FDA approvò il Saquinavir, il primo di una nuova e
promettente classe di farmaci, gli inibitori delle proteasi. Nel luglio 1996,
in occasione della 11a Conferenza Internazionale sull'AIDS tenutasi a Vancouver,
Canada, sono stati riportati i successi dei nuovi regimi di terapia combinata
con almeno tre farmaci, in grado di azzerare la replicazione virale nel sangue
nella maggior parte dei soggetti trattati, arrestando così l'evoluzione
dell'infezione.
L'OMS ha stimato che nel corso del 1997 circa 5,8 milioni di persone
hanno contratto l'HIV (delle quali 590.000 sono bambini) ad un ritmo di circa
16.000 nuove infezioni al giorno, e che 2,3 milioni di persone sono decedute di
AIDS. Nel 1998 sempre l'OMS stima che siano oltre 30 milioni le persone
infettate dal virus, con almeno 12 milioni di deceduti dall'inizio
dell'epidemia. L'entusiasmo provocato nei Paesi Occidentali dai successi dei
nuovi regimi terapeutici si scontra con la realtà epidemiologica dell'infezione:
infatti la grande maggioranza delle persone HIV positive, circa l'85-90%, è
concentrata nei Paesi in via di sviluppo e principalmente nell'Africa
sub-Sahariana, Paesi che non possono permettersi l'elevato costo dei farmaci
indispensabili per la terapia. La Conferenza Internazionale sull'AIDS che si è
tenuta a Ginevra nel giugno 1998, il cui motto era Bridging the Gap, ha
sottolineato questi aspetti, e proprio per questi motivi l'ultima Conferenza
Mondiale del giugno 2000, si è svolta a Durban, in Sudafrica.
Le
origini dell'HIV
Sebbene varie ipotesi
siano state fatte nel corso degli ultimi 15 anni, è ormai chiaro che l'HIV si è
formato attraverso un processo di evoluzione naturale. La teoria che ha trovato
maggiori consensi circa l'origine dell'HIV sostiene infatti che questo virus sia
derivato da mutazioni genetiche di un virus che colpisce alcune specie di
scimpanzé africani, il SIV (Scimmian Immunodeficiency Virus); tramite studi di
biologia molecolare è stato possibile stabilire una relazione fra l'HIV ed il
SIV, identificando una omologia genetica del 98% tra questi due virus, ed
arrivando a costruire un vero e proprio albero genealogico virale. L'infezione
da HIV sarebbe pertanto una zoonosi, cioè una infezione trasmessa all'uomo da
altre specie animali: l'HIV sarebbe migrato dal serbatoio dei primati a quello
umano probabilmente con la cacciagione oppure tramite riti tribali che
comportavano il contatto con il sangue di questi animali. Il SIV sarebbe poi
mutato nell'HIV nel corso di molti anni attraverso successive variazioni
genetiche. Tale ipotesi è stata recentemente confermata dal lavoro di un gruppo
di ricercatori della University of Alabama di Birmingham, presentata alla 6a
Conferenza sui Retrovirus e sulle Infezioni Opportunistiche tenutasi a Chicago
nel febbraio 1999, dove una particolare specie di scimpanzé, il Pan
troglodytes troglodytes, è stata riconosciuta quale più probabile sorgente
dell'infezione per l'uomo.

L'HIV sarebbe quindi verosimilmente esistito per lungo tempo in piccole comunità
tribali dell'Africa. L'urbanizzazione, soprattutto durante il colonialismo, ha
portato a grandi spostamenti di persone e all'acquisizione di costumi più
liberi, con conseguente aumento degli scambi sessuali, dovuti anche alla
prostituzione. Questi movimenti hanno favorito la diffusione dell'HIV, creando
così una "base" di individui infetti, sufficiente alla futura espansione
dell'infezione. In seguito, vari fattori quali i contatti con l'Occidente, l'uso
di siringhe ipodermiche non sterili per le campagne di vaccinazione, l'impiego
di emotrasfusioni nei casi di malaria, hanno favorito la diffusione dell'HIV.
Nell'Occidente, libertà sessuale e tossicodipendenza hanno poi originato
l'epidemia che abbiamo conosciuto negli anni '80 e '90. Un articolo pubblicato
sulla rivista Nature dal gruppo di David Ho (direttore del Aaron Diamone AIDS
Research Center di New York), ha riportato la scoperta di tracce del menoma
dell'HIV in un campione di sangue appartenente ad un uomo vissuto a Kinshasa
(Congo) e deceduto nel 1959. Tramite analisi molecolari di questo virus,
confrontato con altri ceppi virali isolati più recentemente, è stato possibile
stimare l'origine dell'HIV prima del 1940, ipotizzando quindi che la
trasmissione del virus dallo scimpanzé all'uomo sarebbe avvenuta per la prima
volta circa 60 anni fa.
In un altro lavoro, recentemente pubblicato sulla rivista Science, l'analisi di
sequenze genetiche del virus, elaborate con sofisticati modelli statistici e con
l'ausilio di supercomputers, ha permesso di stimare che il ceppo originario
dell'HIV risalga fin dal 1931.
CARATTERISTICHE DEL VIRUS
L'HIV è un virus con
menoma ad RNA appartenente alla famiglia dei Retrovirus, genere Lentivirus.
Attualmente se ne conoscono due tipi: HIV-1, diffuso in tutto il mondo (quello
che abitualmente conosciamo) e HIV-2, presente solo in alcuni Paesi africani e
meno virulento del tipo 1.
Come molti altri tipi di virus, l'HIV è composto schematicamente da tre parti
1) Envelope: è il rivestimento esterno,
formato da una membrana lipidica e da "proiezioni" proteiche, costituite da due
glicoproteine denominate gp120 e gp41: la gp41 forma la base di queste
proiezioni, mentre la gp120 forma la parte più esterna. Queste strutture sono
importanti per i meccanismi che permettono al virus di legarsi alle cellule
bersaglio.
2) Matrice: strato proteico situato
all'interno dell'envelope, che circonda la parte centrale del virus.
Contribuisce alla stabilità strutturale della particella virale.
3) Core : circondato dalla matrice, il
core contiene le parti vitali del virus: il materiale genetico, costituito da
due catene di RNA, e gli enzimi fondamentali per i processi di replicazione
virale, quali la transcriptasi inversa (p51), l'integrasi (p32) e la proteasi
(p11). L'RNA contiene tre geni principali che codificano la sintesi di
importanti componenti strutturali e funzionali del virus:
- env: codifica la produzione della glicoproteina gp160, la quale poi si
scinde a formare la glicoproteina di superficie gp120 e la glicoproteina
transmembrana gp41, entrambe presenti nell'envelope;
- pol: codifica la sintesi degli enzimi transcriptasi inversa, integrasi
e proteasi;
- gag: codifica la sintesi della proteina nucleocapsidica p24.
Sono poi presenti altri geni, tat, nef, rev, ecc., responsabili della
regolazione delle diverse fasi del ciclo replicativo del virus.
Replicazione dell'HIV
L'HIV, come tutti i
virus, è incapace di replicarsi autonomamente, in quanto necessita dell'apparato
metabolico di una cellula; il ciclo replicativo dell'HIV viene solitamente
suddiviso in varie fasi.
1) Adesione: per poter penetrare nella
cellula bersaglio l'HIV deve prima di tutto legarsi ad essa; il virus si può
legare a cellule che abbiano sulla loro superficie uno specifico recettore,
denominato CD4, al quale aderisce tramite una specifica porzione dell'envelope,
costituita da due glicoproteine: la gp120, più esterna, e la gp41, situata più
internamente.
Il primo legame avviene quindi tra la gp120 ed il recettore CD4; è necessario
però anche un secondo legame, che avviene tra la gp120 ed un corecettore
presente sulla superficie della cellula (il principale di questi corecettori è
stato denominato CCR5; si è visto che persone affette da una difetto genetico di
questo corecettore sono in grado di resistere all'infezione).
2) Fusione: una volta avvenuto anche
questo secondo legame con il corecettore, la gp120 subisce una variazione della
propria struttura ed una modifica della posizione, permettendo così
l'esposizione della gp 41; questa è in grado di fondersi con la membrana
cellulare, aprendo la porta all'ingresso del virus nella cellula.
3) Penetrazione nella cellula: avvenuta
la fusione il virus penetra nella cellula. Soltanto il core virale entra però
all'interno della cellula, mentre il rivestimento glicoproteico dell'envelope
rimane all'esterno della cellula.
4) Uncoating: una volta penetrato nella
cellula, il core perde il proprio rivestimento proteico che viene degradato in
un processo chiamato uncoating (svestimento); in questo modo si libera la parte
centrale del virus che contiene il menoma ad RNA e gli enzimi virali.
5) Trascrizione inversa: è il processo
con il quale le informazioni genetiche del virus contenute in una singola catena
di RNA vengono copiate in una doppia catena di DNA. Questo processo, che avviene
nel citoplasma della cellula nelle prime ore successive all'infezione, necessita
dell'intervento di uno specifico enzima virale, la transcriptasi inversa. La
trascrizione inversa si svolge in tre fasi:
a) sintesi di una catena di DNA complementare all'RNA virale;
b) degradazione della catena di RNA originaria;
c) costruzione della seconda catena di DNA complementare alla prima.
Il risultato è quello di ottenere un DNA a doppia catena contenente tutte le
informazioni genetiche che erano presenti nel menoma originario ad RNA. Questa
nuova molecola di DNA virale prende il nome di Provirus.
6) Integrazione: il Provirus viene
trasportato nel nucleo della cellula. In questa sede, grazie all'intervento di
un altro enzima virale, l'integrasi, viene inserito nel menoma cellulare, dove
rimane per tutta la vita della cellula (l'unico modo per eliminare il Provirus è
quello di uccidere la cellula). A questo punto l'HIV, sotto forma di Provirus,
può rimanere in fase di latenza anche per lunghi periodi di tempo, duplicandosi
solo con la replicazione della cellula stessa.
7) Trascrizione del Provirus: ad un certo
momento il virus può attivarsi: in questo caso il DNA virale "ordina" alla
cellula la produzione di propri componenti, quali le proteine strutturali, gli
enzimi e l'RNA genomico. Il Provirus, come il resto del cromosoma della cellula,
è in grado di utilizzare l'RNA polimerasi cellulare per trascrivere il proprio
DNA in RNA. Completata la trascrizione, il nuovo RNA virale esce dal nucleo
della cellula e viene trasportato nel citoplasma. In questa sede l'intervento
dei ribosomi cellulari porta alla sintesi delle nuove proteine virali.
8) Intervento della Proteasi: subito dopo
la loro "costruzione" le proteine virali non sono ancora in grado di funzionare
adeguatamente; è necessario l'intervento di un altro enzima virale, la proteasi,
il quale agisce modificando la struttura delle proteine in modo da renderle
perfettamente funzionanti: si formano così gli enzimi e le proteine strutturali
del virus.
9) Assemblaggio: i componenti virali
neoprodotti (proteine e genoma) vengono quindi trasportati alla periferia della
cellula dove vengono assemblati tra loro dando origine al core del nuovo virus.
10) Gemmazione: si chiama così il
processo di fuoriuscita delle nuove particelle virali dalla cellula infetta: il
core del nuovo virus si avvicina alla membrana cellulare e la attraversa per
fuoriuscire dalla cellula stessa; durante questo passaggio viene rivestito
dell'involucro glicolipidico, l'envelope . A questo punto la nuova particella
virale (virione) è completata, ed è così in grado di andare ad infettare
un'altra cellula bersaglio e di dare inizio ad un nuovo ciclo replicativo.
CONTINUA
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